Il cliente non paga!
I primi passi nel lungo cammino del recupero crediti
scaricare l’articolo riportato nel numero 3/2013 della rivista di inarcassa
Il “cliente che non paga” è una vera e propria piaga dell’economia italiana. La crisi economica e la conseguente mancanza di liquidità dei mercati sono i principali fattori che l’alimentano.
In Italia, circa il 70% delle imprese, per ragioni strettamente legate ai ritardi nei pagamenti, soffre di mancanza di liquidità. Si stima che il tempo medio d’incasso sia superiore a 90 giorni; se poi il debitore è la Pubblica Amministrazione, esso può superare i 180 giorni.
Le banche, di contro, hanno risposto alla crisi restringendo progressivamente le proprie politiche creditizie. Ciò, ha reso ancora più difficile la vita a chi era abituato a gestire temporanei squilibri finanziari, confidando su affidamenti bancari che nel giro di breve tempo sono stati ridotti, se non addirittura revocati.
Si spera che la situazione migliori con l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 192 del 2012, che accoglie la Direttiva europea in merito alla disciplina dei ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali. Tale decreto prevede che per tutte le obbligazioni pecuniarie, sorte da contratti stipulati dopo il primo gennaio 2013, il debitore sia obbligato a eseguire il pagamento non oltre i 30 giorni dal ricevimento della prestazione o dall’emissione della fattura. Previo accordo tra le parti, il pagamento può slittare a 60 giorni e solo in casi del tutto particolari può superare questo termine.
Dal punto di vista fiscale, si ricorda che la prestazione di servizi si considera effettuata al momento del pagamento del corrispettivo. Pertanto, il professionista non è obbligato a emettere la parcella fintanto che non riceve il pagamento di quanto stabilito. Tale sistema, se da un lato consente di evitare di anticipare il versamento dell’IVA, dall’altro può rendere la dichiarazione dei redditi “non congrua”, dal momento che i compensi dichiarati possono risultare inferiori ai minimi previsti dagli Studi di settore. Per ovviare a questo inconveniente, il professionista può scegliere il “Regime di IVA per cassa“ introdotto dall’art. 32- bis del D.L. 83/2012 che consente di rinviare il versamento dell’imposta al momento dell’effettivo incasso del corrispettivo, (si veda l’articolo “Come e quando fatturare” pubblicato sul n. 2.2013 della rivista).
Il contratto
Il contratto è l’unico strumento di tutela efficace per il professionista. Prima di iniziare qualsiasi lavoro l’ingegnere o l’architetto dovrebbe mettere per iscritto l’oggetto dell’incarico, i criteri da adottare per le varianti in corso d’opera, i modi e i tempi di consegna, il compenso e le modalità di pagamento. Inoltre, nell’interesse di entrambe le parti, possono essere previste delle clausole, da quella di proprietà, alla risolutiva espressa, alle penali e alla clausola compromissoria. Anche in assenza di un vero e proprio atto scritto il professionista dovrebbe formalizzare, tramite “e-mail”, le reciproche obbligazioni e rimanere in attesa dell’accettazione delle condizioni da parte del cliente. Infatti, ai sensi dell’art. 1326 del codice civile “il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte”. In pratica, non è necessario che entrambe le parti firmino lo stesso documento, poiché la proposta e l’accettazione possono costituire due atti sottoscritti separatamente.
Sarebbe poi opportuno che alla stipula dell’accordo il cliente versi un acconto. Ciò rappresenta un mezzo per ridurre il rischio d’insolvenza e per tenere lontani eventuali clienti in malafede.
La gestione dei crediti
Quando il cliente ritarda nel pagamento della pre- stazione è opportuno acquisire subito informazioni al riguardo, soprattutto per valutare il grado di recuperabilità del credito. Conoscere la causa dell’inadempimento consente al professionista creditore di impostare immediatamente una politica di recupero del credito. Infatti, se l’inadempimento è conseguente ad una situazione di temporanea illiquidità si potrà avviare con il cliente un approccio relazionale che gli faccia comprendere la disponibilità ad aiutarlo a superare le difficoltà contingenti. Di norma, il cliente inadempiente ha bisogno di tempo e la concessione di una dilazione di pagamento non può che essere accettata. Inoltre, se il confronto si sviluppa costruttivamente, in cambio di un piano di rientro, il creditore può sempre chiedere il riconoscimento espresso del debito oppure un titolo esecutivo stragiudiziale, ad esempio una cambiale a garanzia. Questi strumenti possono ritornare utili in un successivo momento per procedere esecutivamente. Infatti, se l’approccio conciliativo non dovesse produrre alcun effetto, e appurato che il cliente non pagherà, è il caso di porsi come obiettivo l’acquisizione di elementi negoziali o documentali, necessari per il recupero del credito stesso. Quando, invece, il cliente non si rende rintracciabile, ad esempio risponde in maniera approssimativa oppure continua a rimandare il pagamento senza alcun esito, è opportuno formalizzare la “richiesta di pagamento”. Il sollecito del pagamento, in media, avviene dopo che sono trascorsi circa 15/20 giorni dalla data di emissione della parcella. La procedura consiste nell’inviare più solleciti di pagamento (tramite fax, e-mail o posta ordinaria) e solo dopo che questi non abbiano prodotto alcun risultato l’invito ad adempiere avviene tramite Pec o Raccomandata con ricevuta di ritorno.
L’invio della Pec o Raccomandata coincide con l’avvio formale del recupero del credito e vale sia a costituire in mora il debitore sia a interrompere i termini di prescrizione. Il sollecito in questo caso deve contenere l’esplicito invito ad adempiere entro un ragionevole lasso di tempo, con l’espresso avvertimento che, in mancanza, saranno promosse le opportune azioni giudiziarie.
L’ordinamento giuridico, nel caso in cui i rimedi bonari non dovessero portare ad alcun risultato, prevede una serie di strumenti per il recupero del credito. Tuttavia, la sfiducia nella “giustizia civile”, in termini di tempi e costi di un procedimento, spesso induce a escludere a priori il ricorso a vie legali.
Il Decreto Ingiuntivo rappresenta il rimedio principe nella tutela giurisdizionale. Con tale strumento il Giudice ordina al debitore di adempiere all’obbligazione fissando una data di scadenza. Trascorso inutilmente tale termine, il Decreto Ingiuntivo diventa esecutivo, rendendo possibile il pignoramento dei beni del debitore. Si ricorda che se il debito è di valore inferiore ai cinquemila euro si può ricorrere direttamente al Giudice di Pace.
Tratto dalla rivista dell’Inarcassa n. 3/2013